Al Teatro Olimpico c’è un nuovo spettacolo:

Il giro del mondo in 80 minuti,

nuova opera dell’ Orchestra di piazza Vittorio, gruppo multietnico di musicisti che basa la propria forza proprio nella variegata provenienza dei suoi componenti, 19 in tutto, delle più svariate nazionalità.

L’esperimento cominciato nei primi anni del nuovo millennio è ormai collaudato, i musicisti sono affiatati e si vede, perché la musica, pur proveniente da culture profondamente diverse, si amalgama totalmente creando una piacevole armonia.

Parliamo di musicisti, e forse qui sorge il fondamentale problema dello spettacolo, che purtroppo fatico a chiamare tale. Tutti ottimi musicisti, ma attori? Intrattenitori? La trama è stiracchiata, quasi nulla: per salire sulla nave (in pratica l’orchestra) ogni passeggero deve portare una valigia e una canzone. Questa è la scusa perché l’Orchestra di piazza Vittorio racconti la propria storia, tramite la voce dei suoi componenti: storie di immigrati, a volte tristi e a volte allegre, a volte cantate, e a volte narrate ma il tutto sempre troppo accennato, raffazzonato e troppo spesso alla buona.

E proprio perché uno spettacolo non è solo musica, ma anche e soprattutto intrattenimento, l’opera, che non decolla mai per tutti gli 80 minuti, a mio parere, fallisce nel suo intento: tra una canzone e l’altra, qualche scambio di battute, qualche debole gag;  l’uso di videoproiettori regala qualcosa alla scena ma poco o niente all’interesse dello spettatore; le scenografie sono piacevoli  ma non caratterizzanti, e lo spettacolo finisce per non intrattenere diventando poco più di un concerto sperimentale di musica multietnica ben eseguita.

E anche nel reparto musicale, da spettatore  che chiedeva solo di essere intrattenuto ed emozionato, qualche delusione:  un palco strapieno di  strumenti e nessuno di essi che prenda a tratti il sopravvento, che ne prevarichi un altro, che regali una vera emozione con le proprie sonorità, nessun vero assolo, nessuna sorpresa o “scorrettezza” che aggiunga un po’ verve a una musica che per quanto bella risulta a tratti un po’ sciapa.

Un esperimento quindi,  da parte dell’orchestra,  che cerca di evolversi, aggiungendo elementi propri del teatro a una musica ormai ben collaudata, ma un esperimento purtroppo ancora troppo immaturo per soddisfare un pubblico in cerca di qualcosa in più di un semplice concerto.

Valerio Azzopardi